Descrizione
Come recita il titolo, questo
monologo ha a che fare con la giustizia e con il mito, e con il perché su Medea
più che su altri personaggi del mito, forse anche più che su Edipo ed Antigone
- che hanno peraltro molto a che fare con il concetto stesso di giustizia
umana, naturale e divina - si sia scritto e si continui a scrivere nei secoli
in modo incessante. La storia di Medea sembra un baratro sul quale tutti
continuiamo ad affacciarci inorriditi, per arretrare subito dopo, cercando di
cancellarlo.
Forse perché il sentimento
materno – molto enfatizzato dalla società patriarcale – non tollera
questa opzione.
O forse perché la Grande Madre,
la cui memoria è ancora viva nel genere umano, non ammette tra le scelte
possibili quella di Medea. E infatti su Medea hanno scritto essenzialmente gli
uomini. Quando sono le donne a scrivere, è palese e quasi naturale,
ineludibile, il tentativo di edulcorare e trovare giustificazioni che non
possono esserci. È un personaggio grande, immenso, che travalica il mito, al
quale, al di là di ogni considerazione personale, la regista ha ritenuto giusto
attribuire lo status di individuo.
Con le sue colpe e la sua verità. La Medea di Maria Letizia Compatangelo è una
Medea tormentata, che si interroga. È stanca di tanto parlare della sua vicenda
e vorrebbe solo farla finita.
È una Medea moderna, non una
reinterpretazione: è proprio lei, quella Medea che non rinnega e non nega ciò
che ha fatto e vive nel nostro tempo. Una regina millenaria che non può morire,
sinché il ricordo delle sue azioni rimarrà vivo tra i viventi. Una donna delusa
e disincantata, che torna lirica e appassionata solo quando parla del giovane
greco dai capelli chiari e lo sguardo da eroe sventurato, di come se ne
innamorò perdutamente e lo salvò, dei tempi felici del viaggio ad Argo. Una
donna che ha imparato molto nel corso dei secoli e che ora si interroga con
distacco e ironia; provoca e analizza in modo molto moderno, certo, ma non c’è
da stupirsi, essendo arrivata sino a noi. Suo malgrado.
Ma è stato veramente così? Oggi
esige il suo processo. È lucida, analitica, pungente: una Medea che anela
soltanto il silenzio, una parola finale, condanna o assoluzione, anche a costo
di essere scaraventata nel Tartaro; ma si renderà conto, alla fine, del perché questo
non è possibile. E che è stata proprio lei ad accendere la miccia di un
incendio che da allora continua ad ardere e brucerà sinché gli esseri umani
avranno memoria.
produzione
Teatro della Città
di e regia
Maria Letizia Compatangelo
con
Elena Bucci
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