Luigi Pirandello era solito dare udienza ai fantasmi, a quelle presenze larvali che di tanto in tanto lo imploravano per ottenere cittadinanza letteraria, nella speranza di essere inseriti nel canale di scorrimento della presunta vita vera. Erano i signori personaggi delle sue future novelle, ciascuno dei quali con una particolare miseria o aberrazione da far conoscere.
Ma cosa accadrebbe se un giorno, a recarsi dal grande scrittore, fossero invece i personaggi noti delle sue novelle, delle commedie o dei romanzi? Quelli ormai di dominio pubblico, perché bene o male incrociati a scuola o nei teatri: se fossero, dunque, loro i questuanti?
Venuti fuori dalle pagine, inopinatamente sbucati dalle tavole di un palcoscenico, sospinti
insomma dal motore dell’insoddisfazione, stanchi della maschera finora indossata, adesso chiedono al loro autore conto e ragione, gli rinfacciano l’ignominia alla quale sono stati inchiodati, vogliono a tutti i costi restituirgli la loro “croce”. E mentre il clima si fa arroventato e la vertigine si impossessa di tutti quanti, personaggi e autore compreso, i ruoli si ribaltano: è Pirandello stavolta a non poterne più, a volersi liberare dei legacci d’inchiostro e psicologici che lo avvinghiano alle sue opere per mostrare, finalmente, il vero volto che gli appartiene, inusitato e sorprendente.
Provando a immaginare, tracotanza delle tracotanze, una vita alternativa, uno spazio diverso per le sue povere cavie, ma per se stesso, per tutti noi.